venerdì 7 novembre 2008

Intervista Giuseppe Camuncoli


Considerato da molti uno dei più versatili talenti italiani in campo internazionale, esordisce con l'autoprodotto BONEREST nel 1997, fondando al tempo stesso con Matteo Casali lo studio Innocent Victim. Oltre alla serie che lo lancia, suoi lavori sono apparsi negli anni successivi sui due QUEBRADA (Innocent Victim) e sull'antologico FRONTIERA (Black Velvet). A fine 2000 sbarca sul mercato americano grazie alla Vertigo/DC Comics, per cui realizza nove numeri di SWAMP THING con Brian K. Vaughan. Le sue matite sono apparse in seguito su HELLBLAZER e VERTIGO POP: BANGKOK (Vertigo), BATGIRL SECRET FILES, ROBIN, BATMAN, 52, JONAH HEX (DC), THE INTIMATES, CAPTAIN ATOM: ARMAGEDDON (WildStorm), SPIDER-MAN'S TANGLED WEB, MS. MARVEL SPECIAL, IMMORTAL IRON FIST (Marvel Comics) e altre ancora. Ha realizzato inoltre svariate copertine sia in America che in Italia, tra le quali si segnalano quelle dell'edizione italiana del manga de L'UOMO TIGRE (saldaPress). I suoi ultimi lavori sono stati il romanzo grafico IL VANGELO DEL COYOTE, scritto da Gianluca Morozzi e disegnato con Michele Petrucci (Guanda Graphic), il quinto volume de GLI SCORPIONI DEL DESERTO: QUATTRO SASSI NEL FUOCO (Lizard), scritto da Matteo Casali, seguito della celeberrima saga di Hugo Pratt, e LA NEVE SE NE FREGA, adattamento a fumetti dell'omonimo romanzo di Luciano Ligabue (Panini), sempre in tandem con Casali.


Attualmente è al lavoro sulla miniserie dipinta BATMAN: EUROPA (DC Comics) e sulla miniserie X-MEN: X-INFERNUS (Marvel Comics).

E’ inoltre fondatore e direttore artistico (dal 2008) della sede reggiana della Scuola Internazionale di Comics.

Vive (e lavora) a Reggio Emilia con la moglie Jessica.







Filodichina
: Che strumenti usi (fogli, matite, pennelli, pennini, pennarelli, che tipo di scanner...)?

Cammo: Beh, dipende sempre dal tipo di fumetto e dal tipo di stile e segno che il singolo fumetto richiede o mi ispira.
Intanto per quel che riguarda i fogli, Marvel e DC forniscono abitualmente i “loro” fogli ufficiali, già squadrati, che sono di ottima qualità, si possono usare anche per dipingere (infatti li sto usando per “Batman: Europa”). In genere, preferisco il foglio ruvido sia quando devo fare matite che quando devo inchiostrarmi.

Sul versante matite, anche qui mischio sia matite tradizionali (2H, H e HB, le marche per me si equivalgono) che portamine, soprattutto lo 0.3 per i dettagli più piccoli. Ultimamente poi ho preso a divertirmi molto con la gomma, nel senso che utilizzo un gomma “stick” tipo portamine della Staedtler (ma ci sono anche altre marche), che ha le gomme ricaricabili di dimesioni ridotte rispetto a quelle “normali”, e si impugna come una matita. La uso per andare in “sottrazione”, eliminando così quei segni eventualmente multipli per poi lasciarne uno solo anziché ripassarle. Insomma, è forse un po’ complesso da spiegare, ma negli ultimi anni anche la gomma è diventata nella fase delle matite uno strumento al pari degli altri.




Per inchiostrarmi, idem, di solito non utilizzo mai un solo strumento, ma sempre perlomeno una combinazione di due, ad esempio pennarelli più pennello (su “Gli Scorpioni del Deserto”, dopo essermi opportunamente informato su quali strumenti utilizzava Pratt), oppure pennino più pennello per i panneggi e le ombre (soprattutto sulle illustrazioni, ma anche sulla storia breve realizzata per lo “Strangehaven” di Gary Millidge), fino a sperimentare soluzioni ardite e mai provate prima, come l’inchiostrazione a biro Bic e Pentel su “Il Vangelo del Coyote”. Di solito vado e provo senza stare a pensarci più di tanto o a fare tavole di prova, l’istinto mi guida in quasi tutto. E poi mi piace molto cambiare registro, e cercare di utilizzare e combinare più tecniche tra di loro.

Lo scanner che utilizzo ormai da molti anni è un Mustek ScanExpress A3 USB, che mi consente di scannerizzare le tavole grandi in un colpo solo.
Delund: Qual'è' il fumetto che hai disegnato che ti rende più orgoglioso e quale meno? Qual'è' lo scrittore con cui ti sei trovato meglio a livello professionale? Preferisci le sceneggiature dettagliate o quelle che lasciano spazio alle tue idee? ho letto che stai disegnando il prossimo cross-over degli X-Men, puoi dirci qualcosa di più?




Cammo: Beh, alla prima domanda mi sottraggo semplicemente perché sarebbe un po’ come chiedere a un genitore di quale dei suoi figli va più orgoglioso e di quale meno… Alla fine sono affezionato a tutti i miei lavori, anche quelli che col passare del tempo trovo meno riusciti, perché so di avere sempre dato il massimo che potevo dare in quel dato momento. Suonerà retorico, ma è così.

Per quanto riguarda lo sceneggiatore, mi è andata quasi sempre molto bene a livello professionale. A parte Matteo Casali, che è lo scrittore con cui ho lavorato di più e con continuità, mi sono trovato da dio con Brian Azzarello ai tempi di “Hellblazer” e di “Spider-Man’s Tangled Web”. Ultimamente poi devo dire che mi sono trovato ‘ad occhi chiusi’ anche con Duane Swierczynksi su “Immortal Iron Fist”. E mi trovo comunque a mio agio con entrambi i tipi di sceneggiature, l’importante è che siano ben fatte e ben ragionate.
Su X-Infernus, purtroppo non posso rivelare nulla, altrimenti questa pagina web si autodistruggerebbe entro cinque secondi…! Vi dico però che visivamente sarà piuttosto spettacolare!

PeppeComix: Quale personaggio dei fumetti, che hai disegnato, ti piace di più? C'è una storia che non hai mai disegnato ma che ti piacerebbe disegnare? Quali sono, secondo te, le differenze lavorative tra America ed Italia?

Cammo: A costo di ripetermi, ce ne sono tantissimi e tutti anche piuttosto diversi tra loro. Come dicevo sopra, alla fine ti affezioni oltre che alle storie anche ai personaggi che disegni. Comunque ti posso sicuramente citare il Bone di “Bonerest”, a cui sono e sarò sempre molto legato affettivamente, poi Batman, John Constantine e Swamp Thing. Infine, non posso non citare Koinsky e Corto Maltese che con “Gli Scorpioni del Deserto” e il magazine “Specchio” della Stampa vanno a completare un gruppo di personaggi a cui sono molto legato fin da piccolo/giovane grazie alle mie precoci letture.

Di storie e di personaggi che non ho mai affrontato ce ne sono a bizzeffe, e la mia intenzione è quella di cercare pian piano di mettere le mani sul maggior numero possibile di posti vacanti sulla mia ‘mancolista’. Uno di questi si sta colmando proprio in questi giorni, dato che sto lavorando a una miniserie degli X-Men che vedrà coinvolto, tra i vari mutanti, il vecchio Wolverine che è uno dei miei personaggi preferiti di sempre.

Le differenze lavorative tra America e Italia non sono poi tantissime a livello di professionalità e di iter lavorativo. Quello che forse l’America ha in più, ma non solo nel fumetto, è una frenesia creativa che genera costantemente nuove idee, nuovi personaggi, nuove tendenze e strategie che fanno del fumetto una macchina da soldi che sconfina poi anche nel cinema, nei cartoni, nel merchandising per intenderci, in maniera molto più ramificata e capillare che da noi.



Fed44: La cosa che in questo periodo trovo più difficile è crearmi uno stile personale, senza copiare troppo qua e là. Tu come hai fatto? Quand'è che hai "sentito" di aver fatto qualcosa di veramente personale?

Cammo: Mah, in realtà si tratta di un processo che non saprei se definire spontaneo o controllato, credo che sia piuttosto un misto di entrambe le cose, certi passaggi avvengono naturalmente, o inconsciamente, altri invece vengono effettuati consapevolmente – ma questo del resto credo anche dipenda da autore ad autore.
Copiare è un ottimo aiuto per gli inizi, per creare delle “basi”, per farsi le ossa, poi svincolarsi dai maestri è essenziale, ma non ci sono regole scritte o orali da seguire, ognuno va un po’ a modo suo in questo processo secondo me.
Io ancora prima di esordire con “Bonerest” avevo iniziato a mutuare, a innestare alcune peculiarit stilistiche tipiche della scuola Vertigo di metà anni ’90 (Dave McKean, Duncan Fegredo, Teddy Kristiansen, Marc Hempel e via dicendo) sull’impianto stilistico di partenza, che saccheggiava Jim Lee a piene mani. Il risultato è questa schizofrenia formale che ancora mi contraddistingue, e che sfrutto sia per il mio personale divertimento, sia per poter passare dal tratto de “Il Vangelo del Coyote” a quello che sto utilizzando sugli X-Men.
Un consiglio che ti posso dare è eventualmente fare molto disegno dal vero (che ti può aiutare ad allontanarti dal tuo stile attuale) e poi al limite provare a rifare alcune tavole vecchie con uno stile completamente diverso (che ne so, pensa magari a una tavola di Manara ridisegnata con lo stile di Munoz, o qualcosa di simile, utilizzando sempre autori che ti piacciono ovviamente), insomma provare a rimescolare le carte per capire se a forza di tentativi non possa saltare fuori naturalmente qualcosa di “ibrido” che poi possa diventare il tuo stile personale. In ogni caso, ad un certo punto, deve uscire prepotentemente qualcosa che sia tuo e solo tuo, e questo verrà sia col tempo che con la ricerca. Credo che uno se ne renda conto ad un certo punto per conto suo.



Avevo sentito che avresti partecipato al "Dylan Dog Color Fest", ma quando l'ho comprato sono rimasto deluso perché non c'eri... me lo sono sognato?

Cammo: No, no, non te lo sei sognato, se ne era parlato in varie occasioni senza renderla ufficiale e purtroppo la voce è rimasta sul vago senza mai essere smentita, se non dall’uscita effettiva dell’albo, che per l’appunto non conteneva la mia storia. Slitteremo quindi al 2009, sul terzo “Color Fest”, e vi confermo che la storia è firmata da Tito Faraci.

Fumegio: Cosa fai quando incominci un lavoro, da cosa trai ispirazione? Hai qualche rito scaramantico che ti aiuta?

Cammo: Mah, no, nessun rito scaramantico, piuttosto come dicevo sopra vado molto a fiuto, a intuito. Grosso modo mi si visualizza in testa un’immagine, un’idea di come “vedrei” lo specifico lavoro, poi di solito se va bene al primo colpo, la mano segue la testa e riesco a procedere con quel segno, con quella linea.
Quello che quasi sempre mi capita, quando magari mi trovo ad un’impasse, è che intervenga un evento esterno, accidentale a darmi un’ispirazione. Per esempio, vedo casualmente un videoclip e mi viene un’idea che posso riversare in una sequenza di alcune pagine. Oppure vedo un pesce particolarmente curioso, e lo utilizzo come base per un alieno, cose del genere. Insomma, mi piace pensare che le idee siano in continuo movimento, e fortunatamente le prendo in modo abbastanza spontaneo e naturale, senza dovermici sbattere su la testa più di tanto.





Lulu the Subversive: Ti da più soddisfazione disegnare personaggi celebri come i supereroi sapendo che verranno apprezzati subito, o crearne di nuovi tutti tuoi anche se col dubbio che non riscuotano successo di pubblico?

Cammo: Sono due tipi di soddisfazione completamente diversi, e per me complementari. Disegnare Batman o gli X-Men significa realizzare un sogno da lettore e appassionato di fumetti, mentre creare qualcosa di tuo è una sensazione per certi versi più inebriante, perché nel suo “piccolo” ti mette anche solo momentaneamente al fianco di tutti gli altri creatori, personaggi e opere della storia del fumetto. Soprattutto se il tuo personaggio o la tua storia vengono ben accolti e ricordati a lungo dai lettori.

C’è infine, perdonami se esagero, un terzo tipo di soddisfazione: quella di lavorare, stavolta da autore, al fianco di autori ammirati ed apprezzati sulla carta. Sia che poi questi autori tu li conosca di persona, sia che invece restino solo un nome nei credits di un albo, o un indirizzo email a cui scrivi. Per farti un esempio, con Jim Lee abbiamo fondato e condiviso a Reggio Emilia lo Studio Gioco Duro, all’epoca di “The Intimates” per la WildStorm. Brian Azzarello era per me un autore da urlo, poi ho avuto la fortuna di lavorarci (su “Hellblazer”) e siamo diventati davvero buoni amici. Grant Morrison invece non ho ancora avuto il piacere di conoscerlo, ma anche solo poter lavorare sui suoi testi su 52 è stato uno sballo! Ora ad esempio lavorerò con Pete Milligan, un altro mio personale idolo, su “Hellblazer”, e chi se lo sarebbe mai immaginato?



Kingian: Quanto tempo impieghi per realizzare una tavola? Ami più disegnare una tavola o disegnare una copertina? Quali fumetti ti piace leggere?

Cammo: Mediamente una pagina al giorno (indipendentemente che si tratti di matite o di tavole inchiostrate), ma sono arrivato anche a punte di tre-quattro pagine al giorno di matite, o a due pagine al giorno di chine. Ovviamente si tratta di tempistiche da “sotto scadenza”, non certo la media che riesco a tenere quotidianamente. Quando invece faccio layouts (come su “Hellblazer” o “Jonah Hex” con Stefano Landini ad esempio) posso arrivare anche a sette/otto pagine piuttosto abbozzate ma comunque definite al giorno. Su “Batman Europa” invece, tenendo conto anche degli altri impegni, riesco più o meno ad infilare una pagina ogni una o due settimane per non perdere il ritmo.

Mi piace disegnare sia copertine che tavole, sono due cose diverse come complessità e processo creativo, ma alla fine complementari.



Ultimamente il lavoro mi ha messo talmente sotto torchio, che è calata di molto la mole di fumetti che riesco a leggere. Seguo comunque un po’di tutto. Uno dei fumetti che più mi è piaciuto negli ultimi tempi a livello americano è il “Green Lantern” di Geoff Johns, insieme al “Batman” di Grant Morrison. Mi piace comunque leggere, potendo, di tutto, dalle graphic novel al fumetto popolare, dall’underground al fumetto francese. Dopo le scorpacciate di inizi anni ’90 invece, devo ammettere che ho un po’ mollato i manga, non perché non mi piacciano, ma perché non ce la faccio a seguire tutto. L’ultimo manga che ho letto e che ancora devo terminare è lo splendido “Lone Wolf & Cub”.

Lonesomechaser71: Che consiglio puoi dare a chi vuole proporsi ad editori americani?

Cammo: Beh, intanto di documentarsi per bene sul parco testate e personaggi di ogni editore a cui ci si vuole proporre, e possibilmente fare quattro o cinque tavole di prova “mirate”, nel senso di non portare alla DC tavole con l’Uomo Ragno o viceversa. Non che sia un comandamento, però è un gesto di cortesia e rispetto dell’editor a cui ci si propone. Se si fanno matite e chine, eventualmente tenerle separate e mostrare entrambe, potrebbe essere che le chine non vanno bene ma le matite sì, e se si mostrano solo tavole finite potrebbe esserci il rischio di venire scartati perché le chine non sono professionali. Si potrebbe andare avanti per ore con i consigli, l’ultima cosa che vi segnalo è cercare di selezionare pagine il più varie possibili, che contengano un po’ di tutto, dall’azione all’introspezione, e lasciare indietro le pagine meno riuscite.
Questo per quel che riguarda i metodi classici. Negli ultimi tempi, i modi di proporsi o di destare l’attenzione degli addetti ai lavori passa anche attraverso modalità più innovative, come i forum o i siti come Zuda Comics, che sono comunque molto seguiti dai talent scout americani.



PeterParker70: Quali sono stati i tuoi autori preferiti quando hai incominciato a disegnare fumetti? Da chi o cosa hai imparato a disegnare le anatomie?

Cammo: Beh, in parte ho già risposto sopra a questa domanda, agli autori sopracitati posso aggiungerne altri… Hugo Pratt e José Munoz su tutti, poi Toppi, Pazienza, Mattotti, Moebius, Milazzo, un sacco di autori americani o inglesi come Ted McKeever, Chris Bachalo, Kent Williams, Mike Mignola, Alan Davis, Carlos Pacheco, i Kubert, Gary Frank, John Byrne, Mike Golden, Barry Windsor-Smith, insomma potrei citarli praticamente tutti e qualcuno sicuramente me lo sono anche scordato.
Per quanto riguarda le anatomie, l’impianto è quello di Jim Lee (che all’epoca copiavo di brutto, compresi i famosi trattini sul naso), che poi si è trasformato in qualcosa di più morbido e sintetico grazie soprattutto agli insegnamenti di Onofrio Catacchio, che è stato mio maestro (insieme a Otto Gabos) in questo corso organizzato dall’Arci di Reggio Emilia nel lontano 1990. A lui, al suo modo di interpretare le figure e al suo stile plastico devo davvero moltissimo.



Manson: Vorrei chiederti come ti sei rapportato con un maestro quale Hugo Pratt, che punti di contatto hai sentito e quali punti di differenza tra il tuo segno grafico, il tuo ritmo narrativo, e quello del Maestro.

Cammo: Ah, saperlo…
Ovviamente Pratt è per me oggetto di adorazione fin dalla più tenera età, di lui mi piaceva e mi piace tutto, dal segno alla regia, dal colore alla calligrafia, dagli studi di personaggi ai dialoghi, insomma ho letto molto Pratt e qualcosa devo avere assorbito anche inconsapevolmente. Poi su “Gli Scorpioni del Deserto” ho dovuto comunque rapportarmi al suo stile, alle sue inquadrature, alle sue fisionomie, non posso certo dire che sia stato immediato ma nemmeno che sia stato un processo “faticoso”. Piuttosto, dopo un iniziale rodaggio, ho sentito che la mano si scioglieva, che i personaggi iniziavano ad essermi più familiari, e che avevo assimiliato abbastanza bene quello che poteva essere un tratto buono per il fumetto che andavo a disegnare. Senza che fosse una copia spersonalizzante, e senza che fosse al tempo stesso una cosa solo “mia”. Insomma, penso e ne ho avuto conferma dai lettori che ho incontrato, che il risultato di questo azzardo (lo considero ancora tale perché ho dovuto forzarmi a non pensare più di tanto lucidamente a quello che stavo facendo, dato che razionalmente mi tremavano i polsi) sia tutto sommato una buona “summa” dello stile di entrambi. E ora che inizierò a mettere mano al prossimo episodio degli Scorpioni, sarò chiaramente molto più sicuro di me visto che non affronto più un salto nel vuoto come nel precedente volume.



Chris Pelizzius: All'inizio della tua carriera hai partecipato a dei concorsi? Ti è servito per il tuo lavoro?

Cammo: Guarda, se non ricordo male, di concorsi ne ho fatto uno solo, non ricordo in che anno, ma a metà anni ’90, insieme al mio amico Stefano Mussini (che scrisse la storia), ed era un concorso organizzato dai Kappa e dalla Star Comics. Non vincendo non mi è ovviamente servito a nulla a livello di carriera, ma i concorsi credo siano sempre ottimi perché sono uno stimolo a produrre, e quindi a confrontarsi con le prime “scadenze”. Se poi possono servire anche come vetrina o rampa di lancio, allora tanto meglio. Insomma, a me non sono serviti ma personalmente li consiglierei a tutti gli aspiranti disegnatori. In fondo, anche se non si vince, le tavole possono sempre essere mostrate in giro ad editori e addetti ai lavori, quindi non è mai “lavoro buttato”.



Alice Sacco: Cosa non dovrebbe mai fare un'aspirante disegnatore di fumetti?

Cammo: Ah, sicuramente non ascoltare le critiche. Quando si vince la paura del giudizio e si decide di mostrare il proprio lavoro a un professionista, allora bisogna andare fino in fondo. E partire pronti a tutto. Anche all’eventualità che si venga stroncati in maniera pesante. E quindi essere buoni incassatori, come Rocky, e riuscire a rialzarsi nell’eventualità di giudizi negativi sul proprio lavoro.
Molte volte chi sottopone il proprio lavoro, nonostante la molta strada ancora da fare, pensa di essere già pronto, e non appena l’editor o il disegnatore di turno inizia ad evidenziare quali sono le cose che ancora non vanno, all’aspirante disegnatore si chiudono le orecchie e questo non va bene. Soprattutto perché invece dovrebbe stare attento e capire in cosa deve ancora migliorare per arrivare a pubblicare professionalmente.


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