giovedì 27 settembre 2007

Bruno Enna: Approccio all'idea - Tavola Autoconclusiva

Tutorial n°45

Oggi vi parlerò dell’APPROCCIO ALL’IDEA (che non è un modo per accalappiare le ragazze) e del suo modo di elaborarla, magari per una TAVOLA AUTOCONCLUSIVA.

Prima di fare qualsiasi cosa, prima di mettersi a sedere e a scrivere, di solito è necessario avere un’idea in testa. Per quanto mi riguarda l’idea è spesso dedicata a un genere piuttosto che a un altro (gag autoconclusiva, storia umoristica, storia realistica), è condizionata da contingenze particolari (ispirazione fulminante, richiesta dell’editore, esigenza di pagare il mutuo ecc.) e viene nei momenti più impensati (dopo la visione di un film, di un videoclip, la lettura di un libro o di un articolo, la sciacquatura di un piatto o la tirata di una catena). Per ognuno di noi c’è più di un metodo diverso, magari legato a un momento particolare della giornata. A volte, per trovare uno spunto, basta osservare il mondo da un nuovo punto di vista: provate a mettere la testa dentro una vaschetta piena di pesci rossi e vedrete...



© Disney



Spesso, però, nell’arco della stramaledetta giornata l’idea NON ARRIVA. Voi lasciate il cranio scoperchiato e aspettate che qualcosa ci cada dentro, ma niente! Questa è la NORMALE condizione mentale dello sceneggiatore, ve lo assicuro.



© Sergio Bonelli Editore

Quando mi viene chiesto che lavoro faccio, fatico a far capire che sono uno sceneggiatore e non uno scenografo, che non disegno ma scrivo e che riesco (quasi) a vivere di questo mestiere. Passate tutte queste fasi, arriva puntuale la solita constatazione pronunciata con aria sognante: “Chissà quanta fantasia hai...”.



© Disney

Chiarisco una volta per tutte che la fantasia è un’invenzione bellissima, creata da qualche persona molto fantasiosa, ma che il resto è MESTIERE. Un mestiere straordinario, intendiamoci, che ha una sua scienza. E poi è sempre meglio che lavorare.



© Artibani/Barbucci/Canepa/Centomo

Questa lunga parentesi per dire che accade che la scadenza imminente metta fretta e che si debba ricorrere ad alcuni mezzucci creativi fastidiosi, ma indispensabili. L’unico consiglio che posso darvi è di ricorrere a questi espedienti il meno possibile e di utilizzarli solo per le autoconclusive, perché i soggetti di storie lunghe (umoristiche e realistiche) non nascono da semplici suggestioni, ma sono il risultato di un lungo lavoro di elaborazione.

Detto questo, rispolveriamo un paio di questi mezzucci e diamoci da fare.

Dovendo “costruire” l’autoconclusiva in tempi brevi e avendo il cervello in tilt (cosa che mi succede sempre più spesso), io di solito comincio a elucubrare a voce alta, a fare degli arabeschi mentali, affidandomi al tono evocativo delle parole. Per la vostra gioia (e per farvi un esempio) adesso ne prenderò quasi arbitrariamente alcune che ho già usato in questo stesso tutorial: I-PESCI-ROSSI.

Ecco, QUESTA è la mia idea di oggi.

Occhio. Non distraetevi. Non fate quelle facce. Leggete qua sotto.

i-pesci-rossi

Mi viene in mente Raymond Carver che, nel suo “Il mestiere di scrivere” (Einaudi tascabili Stile Libero), disse di aver iniziato un racconto con in testa solo la prima frase: “Stava passando l’aspirapolvere quando squillò il telefono...”. Ora, viene da chiedersi perché pensasse un’idiozia simile, eppure quello era l’inizio del suo racconto: la punta dell’iceberg. Dunque, anche “i pesci rossi” può essere l’inizio di qualcosa.

A questo punto potrei intortarmi su una storia dedicata a dei pesci-semaforo che cambiano colore, oppure potrei giocare con le parole e vedere che cosa accade facendo delle associazioni in libertà. La tecnica è così semplice da sembrare stupida: si prende una parola e se ne allega un’altra e poi un’altra ancora, per associazione immediata e senza alcun tipo di freno mentale (ripeto: nessun-freno). Proviamo:

i-e-a-o-u...

PESCI-esche-morti-pianto-pianta-banca-rapina-pina-pinacoteca-Brera...

ROSSI-Cossu-osso-scapole-scatole-buio-luce-cervello-spento-acceso...

Niente di originale, beninteso. Gli americani alla fine degli anni ’50 usavano un simile metodo associativo in vari modi e lo chiamavano brainstorming; i più fantasiosi hanno inventato persino il brainwriting, ma non voglio tediarvi con queste cose. A mio parere non esiste UN metodo per inventare le storie e nessuno può arrogarsi il diritto di inventarlo e addirittura brevettarlo. Quando parlo di associazioni mentali preferisco citare Gianni Rodari che, nella sua meravigliosa “Grammatica della Fantasia” (sempre Einaudi), gettava dei “sassi in uno stagno” e aspettava che le parole emergessero.

Ora, potrei prendere le mie parole, scriverle su dei foglietti, mescolarle in un cappello a pois e poi gettarle su un tavolo (credetemi, anche questo è un procedimento creativo testato... cappello a pois a parte). Oppure potrei prenderne tre, unirle in una nuova associazione inedito/fantastica e ottenere questo:

E-PIANTO-SCATOLE(I-E-a-o-u;PESCI-esche-morti-PIANTO-pianta-banca-rapina-pina-pinacoteca-Brera; ROSSI-Cossu-osso-scapole-SCATOLE-buio-luce-cervello-spento-acceso...).

Invece di andare avanti all’infinito, mi fermo qui.

e-pianto-scatole

Mi piace molto, più dei pesci rossi. C’è qualcosa di nascosto in queste parole, quasi di poetico. L’idea è cambiata, ma a mio parere è anche MIGLIORATA.

A questo punto è chiaro che la mia oretta lavorativa volge al meglio: forse riesco a tirare fuori un’autoconclusiva senza averci pensato su un mesetto o aver riesumato una vecchia barzelletta.

Cerco di ELABORARE l’idea venuta da un’altra idea. Vediamo...

Potrei scrivere la storia di un tizio X che pianta scatole sottoterra e aspetta che le scarpe al loro interno crescano di un numero alla volta. Ci ragiono su. Tolgo le scatole e lascio le scarpe: è più chiaro e diretto. Ma ora mi chiedo: chi potrebbe fare una simile follia? Chi potrebbe piantare delle scarpe e poi annaffiarle per vederle crescere?

Io lavoro per Topolino, perciò mi viene spontaneo pensare a un’autoconclusiva per quella testata. A questo punto il tizio X diventa Pippo. Anzi no, lui è un tipo ORIGINALE. Meglio Paperoga, no? È più nel suo STILE. Sì, mi piace.

Va detto che, prima di usare i personaggi Disney, è necessario conoscere molto bene la loro psicologia e le convenzioni che regolano questo tipo di fumetto umoristico (non basta aver LETTO Topolino per pensare di possedere questo genere di competenza). A suo tempo, io ho seguito un corso specifico all’Accademia Disney per cominciare a “entrare” nel mondo di Topi e Paperi. Non scherzo. Sappiate che c’è gente che si occupa di fisica quantistica e altra che vive di rendita, come me.

Ecco allora il “soggetto” della mia tavola in due righe...

Paperoga ha comprato un paio di scarpe; il numero di piede è troppo piccolo, perciò le pianta sperando che crescano.

Ho elaborato l’idea. Potrà anche non piacervi, ma a me sta bene così, e poi questo micro-soggetto contiene una serie di caratteristiche adatte alla gag: è semplice, è chiaro, a suo modo è originale, non è volgare, non cozza con una serie di regole “disneyane” predefinite (vedi sopra). Infine mi sembra simpatico e in linea con i personaggi.

Rammentate che noi conosciamo il finale della nostra microstoria, ma che il lettore deve in qualche modo sentirsi sorpreso, appagato, possibilmente divertito nello scoprirlo. Il lettore deve seguire il nostro ragionamento fino ad arrivare alla conclusione catartica.

Allora, tiriamo fuori gli attrezzi da lavoro:

1) L’autoconclusiva è una sorta di barzelletta con un finale a sorpresa, che si esaurisce nello spazio di una tavola.

2) L’autoconclusiva è una microstoria, perciò va tripartita secondo le regole della struttura ternaria (introduzione, sviluppo del conflitto, soluzione o epilogo).

3) La gabbia Disney è composta da sei vignette per tavola.

4) Mi servono quattro vignette singole e una doppia finale, possibilmente a sorpresa.

Bene, ho tutto. Ed ecco un probabile sviluppo in forma narrata.

1)


La prima vignetta è occupata dal titolo (dannazione: ho già una vignetta in meno!).


TITOLO: SENZA MISURA


2)


Interno di un negozio di scarpe, giorno. Complessiva. Seduto, Paperoga sta provando un paio di scarpe, ma il commesso (un papero stanco, inginocchiato, sudato, dall’aria poco paziente) cerca inutilmente d’infilargliele nei piedi. Paperino commenta, seccato.


PAPERINO: Andiamo, Paperoga! È la terza volta che provi le STESSE SCARPE!


PAPEROGA: Il fatto è che mi piacciono!


3)


In basso, ravviciniamo sul commesso che, stanco e sudato, interviene in tono sarcastico. Paperoga domanda dall’alto, fc.


COMMESSO: Avete pensato che forse vi starebbero meglio un paio di PINNE?


PAPEROGA (dall’alto, fc): Le ho provate e mi fanno inciampare! Allora, c’è il mio numero?


4)


Allarghiamo. Il commesso si alza, aprendo le braccia, facendo spallucce e spiegando (sta perdendo la pazienza). Paperoga continua, pensieroso.


COMMESSO: Per QUESTE scarpe abbiamo solo numeri piccoli! Ve l’ho GIÀ DETTO!


PAPEROGA: Un bel problema! Come posso fare?


5)


Vignetta stretta. In evidenza, detergendosi il sudore con un fazzoletto, il commesso fa del sarcasmo. In SP, Paperoga s’illumina (per la serie: “Ehi! l’idea non è niente male!”).


COMMESSO: Non lo so! Per me potete PIANTARLE e vedere se CRESCONO!


6)


Stacco. Vignetta larga (quasi una doppia). Esterno, giardino, casa di Paperoga, giorno. Paperoga sta annaffiando un pezzo di terreno smosso. Accanto c’è la scatola delle scarpe aperta (con la scritta “shoes” leggibile). Paperino dice la sua, le mani dietro la schiena e l’aria annoiata.


PAPEROGA: Dici che ci vuole un po’ di CONCIME?


PAPERINO: Sì, nel tuo CERVELLO!

Ecco. Al di là del valore dell’autoconclusiva, gli elementi che vorrei farvi notare sono i seguenti:

1) Il titolo non svela, non anticipa niente, ma introduce e in qualche modo commenta. Nel negozio non hanno la misura di scarpe, questo è vero, ma anche Paperoga è “senza misura”, nel senso che prende tutto alla lettera.

2) La seconda vignetta PRESENTA la situazione, i personaggi principali, il luogo e il tempo dell’azione. Questa è l’INTRODUZIONE della nostra microstoria. Deve essere tutto CHIARO e SEMPLICE. Niente fraintendimenti. Niente interpretazioni. È tutto lì, davanti agli occhi: ci sono i paperi, ci sono le scarpe, c’è già un’azione IN ATTO.

3) Le vignette centrali propongono uno SVILUPPO, un movimento dei personaggi da A a B, con alcune battute che chiarificano le loro intenzioni e abbozzano i loro caratteri (Paperoga ha la testa nel pallone, ma è sempre molto positivo; il commesso è un tipo sarcastico; Paperino è ironico, ma perde in fretta la pazienza).

Lo scambio di battute è rapido (botta e risposta), quando possibile divertente (“...vi starebbero meglio un paio di PINNE...”) e ogni frase pronunciata dai personaggi è assolutamente necessaria e CORTA. Ci si dà del tu e del VOI. Inoltre, le parole che ci interessano (cioè quelle che mandando “avanti” la gag e che il lettore segue con gli occhi e la mente) vengono sottolineate e messe in NERETTO.

4) L’ultima vignetta propone uno stacco e un cambio di ambiente (necessario, anche per movimentare la storia), oltre che un salto temporale che ha lo scopo di amplificare la FORZA della battuta finale. Ho aggiunto una controbattuta (“Dici che ci vuole un po’ di CONCIME?”; “Sì, nel tuo CERVELLO!”) un po’ “scatologica”, per i palati più esigenti ... cioè per quelli che hanno atteso la battuta finale immaginando di poterla prevedere. Questa è la SOLUZIONE O EPILOGO, secondo la tripartizione già citata.

Concludo allegando un orrendo STORYBOARD che segue necessariamente la versione scritta; questo per facilitare la lettura “visiva” della gag. Credo, infatti, sia meglio FAR VEDERE una gag piuttosto che raccontarla. C’è il rischio che altrimenti la vostra autoconclusiva faccia la fine di una barzelletta mal pronunciata.


© Disney

Va detto che lo storyboard può essere fatto con i piedi, come in questo caso, ma dev’essere anche il più chiaro e leggibile possibile.

Ecco, credo sia tutto. Fate degli esercizi in questo senso, se vi va: partite da una suggestione (I-PESCI-ROSSI), elaboratela nei modi che ritenete più congeniali (E-PIANTO-SCATOLE) e strutturatela in funzione della vostra esigenza (ispirazione fulminante, richiesta dell’editore, mutuo ecc.), utilizzando i mezzi a disposizione (SCENEGGIATURA e STORYBOARD).

Un consiglio: una volta terminata la vostra autoconclusiva, non fatela vedere a nessuno. Mettetela in un cassetto... chiudete bene quel cassetto... andate in piscina... imparate a lavorare il legno con la pialla... cercatevi una ragazza (quest’attività vi distrarrà abbastanza)... poi aprite il cassetto e rileggete l’autoconclusiva. A quel punto scoprirete che è da buttare. Oppure vi deciderete a spedirla in redazione, allegando una lettera di accompagnamento e un fermacarte di legno perfettamente piallato.

Buon Kinart a tutti!

Bruno Enna

(con un ringraziamento particolare alla Walt Disney Company Italia che ci ha permesso di utilizzare i suoi personaggi)


NEXT 30/09/07: Colorazione Digitale 8: CMYK ed RGB

19 commenti:

Elena Cavaliere ha detto...

Caspita!
Questa sì che è una lezione

Grazie mille, utilissimo!!

Anonimo ha detto...

Grazie a te!
Bruno

Anonimo ha detto...

wow genialata, da prendere e conservare e usare semprissimamente.
vorrei conoscere tutti i tuoi trucchetti eheheheheh

avem

Anonimo ha detto...

Niente trucchi. Se vuoi discutere però qui c'è un bel forum...

Ketty Formaggio ha detto...

Davvero ottima!! Complimenti! ^__^

Anonimo ha detto...

Grazie!

Anonimo ha detto...

Molto utile, per fortuna questi trucchetti li ho sempre usati in modo instintivo, ma è meglio avere delle tecniche sotto mano

Riccardo80

Anonimo ha detto...

Fai bene a usare l'istinto. Questo tutorial non ha la pretesa di dire: fai così e basta! Ti dà alcuni strumenti. Li puoi usare, li puoi ignorare, puoi leggerli e poi dimenticarli, ma l'importante e che tu sappia che esistono.

Anonimo ha detto...

Ehm! L'importante "è", non "e"... scusa. E dire che con le parole ci lavoro.

nerosubianco ha detto...

grande Bruno! Per la nostra fatta per Mono hai usato lo stesso metodo?
Ps: uno di questi giorni ti chiamo....

Anonimo ha detto...

Ciao Claudio
per le tavole autoconclusive non umoristiche lavoro come per le storie lunghe: elaboro un soggetto vero e proprio, studio i personaggi, cerco di focalizzare un argomento "forte". Per Mono ho lavorato così. Certi metodi li uso solo quando sono a corto di idee, ma come vedi possono essere utili.
Ps: aspetto la tua chiamata, oppure ti chiamo io...

BEN ha detto...

veramente ispirante..credo proprio che mi comprerò una vaschetta di pesci rossi!!graziee per il post!

Anonimo ha detto...

Grazie a te per averlo letto!
Bruno

madmac ha detto...

davvero interessante!

Anonimo ha detto...

Mi fa piacere. La formula del tutorial si presta bene. Spero di riuscire presto a scrivere qualcosa anche sul soggetto.

Anonimo ha detto...

Bellissimo

Anonimo ha detto...

Grazie!
B.

Anonimo ha detto...

davvero un bellissimo tutorial, complimenti.

Bruno Enna ha detto...

Ti ringrazio! Va detto che i tutorial di Kinart sono tutti molto belli e interessanti.
B.

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